Nella caotica vivacità che regna sui Navigli e le vie che li circondano, 28 Posti rischia quasi di passare inosservato, rischio che sicuramente non corre la cucina di Marco Ambrosino.
Una cucina che vive di contrasti, di sfumature da cogliere, di profumi e di ricordi; credo che la parola giusta sia sinestetica, ne leggevo per puro caso la pagina Wikipedia proprio l’altro giorno e da lì peschiamo:
Il fenomeno neurologico della sinestesia si realizza quando stimolazioni provenienti da una via sensoriale o cognitiva inducono a delle esperienze, automatiche e involontarie, in un secondo percorso sensoriale o cognitivo
D’altronde non saprei come definire una cucina in cui un piatto, la Tajine di rape e mele in conserva, tartufo nero, noce moscata e olio di argan, sia capace di far affiorare in un secondo profumi e sapori provati tra le antiche vie di Fes e Marrakesh in Marocco.
Il Mediterraneo che Abbraccia
Ci sono altre due parole che possono aiutarci ad interpretare la visione di Marco Ambrosino: mediterraneità e stagionalità. Quando parliamo di cucina mediterranea spesso ci limitiamo ai nostri confini, non andiamo oltre alle acque territoriali; ma il Mediterraneo non finisce in Sardegna o in Sicilia. Abbraccia migliaia di anni di Storia: Israele, Marocco, Libano, Grecia e tanti altri. Identità culinarie spesso ben distinte ma con il Mare Nostrum come comune denominatore. Ambrosino questo lo sa e fonde magistralmente tecniche, spezie e ingredienti. Un esempio? L’Agnello al fieno, che si scioglie in bocca, con conserva di mela cotogna e lime libanese. In una forma che ricorda molto quella di Taglienti al Lume viene accompagnato da una focaccia con pomodoro secco e erbe, cevapcici (piatto balcanico a base di carne trita speziata) alla griglia e cetrioli macerati e bagna cauda di agnello.
Di Stagione in Stagione
Anche la stagionalità è cosa ben nota da 28 posti; il menù cambia ogni due mesi circa, questo vuol dire poter esplorare l’intera galassia Ambrosinica (esisterà come parola? boh…) anche con 2 o 3 visite in un anno. Non ci si può infatti ridurre ad una sola visita, così come non ci si può limitare alla scelta alla carta. L’unico modo per capire la cucina di Marco Ambrosino è farsi guidare da lui, scegliere uno o due piatti rompe l’incantesimo; sarebbe come andare a teatro, uscire alla fine del primo atto e rientrare per il terzo. Fatevi prendere per mano tra accostamenti a una prima occhiata arditi e ingredienti che probabilmente non avete mai sentito (con una buona probabilità di non sentirli più una volta usciti) come l’ippocrasso, un vino ottenuto dalla fermentazione della pasta, che accompagna l’ottima Ostrica alla brace.
Di Sapore in Sapore
Il sapore mediterraneo continua con una trilogia di pesce “povero”: Taco di Alici Marinate e maionese di ceci fermentati, Crudo di sgombro con estratto di incenso (ancora l’Oriente) e uno spiedino di sarda con limone candito che col suo leggero sentore affumicato introduce alle Trottole con ricotta di mandorle, aringhe e finocchietto. Preceduto da un intenso profumo di affumicatura simile a formaggio, senza che esso ci sia realmente, e per quanto mi riguarda piatto del pranzo.
Ai piatti dai sapori molto spinti e inattesi si frammezzano piatti più “confortevoli” come a dare una tregua al nostro palato sconvolto da innumerevoli sensazioni. E allora arrivano in nostro aiuto il Porro alla brace con maionese al miso, piselli e prugne e l’Ombrina con verza, salsa ai ricci di mare e datteri accompagnata da una gustosissima minestra di orzo fermentato, tabacco e gnocchi di pane stagionato che rialza il tiro del gusto per portarci verso il tripudio dell’Agnello al Fieno.
A scuola di Fermentazione
Avrete sicuramente notato come il termine fermentazione compaia di frequente; il “responsabile” abita a Copenaghen e risponde al nome di Renè Redzepi. Nel 2012 Ambrosino trascorse due mesi presso quel tempio culinario che è il NOMA e qui venne a contatto con le tecniche di fermentazione tanto usate da Redzepi e Zilber, tanto da aver creato un laboratorio apposta. La fermentazione serve a creare nuovi sapori trasformando un ingrediente in un altro dopo un processo fatto da batteri, lieviti e muffe. Il piatto più valorizzato da questa tecnica è lo Spaghetto con acqua di pasta fermentata e polvere di miso che arriva a sorpresa prima del dolce.
Il dolce è Pane e Cereali; composto solo da ingredienti cremosi e in controtendenza rispetto alla ricerca di consistenze e texture particolari. Ma al posto di risultare stucchevole invita ad un boccone dopo l’altro, una chiusura davvero degna di nota.
Penso che quello di 28 Posti sia stato il racconto più difficile da scrivere; con tanti sapori e tanti ingredienti nuovi non sempre è facile riuscire ad esprimere le sensazioni provate. Quella di Marco Ambrosino è una cucina da sperimentare in prima persona perché qualunque racconto scritto sarà, per sua natura, inevitabilmente limitato a un solo “senso”. E per godervi davvero l’esperienza di sensi ne servono per forza cinque.